mercoledì 11 marzo 2009

L'informazione zerbinante sulla "Cina" occupata

Stavo ridendo su Blob, e tra gli altri è comparso un mezzobusto del TG1 (non so di quale edizione) che stava per dare una notizia, quando non ha retto a una serie di colpi di tosse, il classico pizzico alla gola, di quelli che un giornalista o un cronista radio televisivo non augura a nessuno . E di nuovo qualche risata prima che il clip cambiasse verso un altro spezzone. Lì per lì non ho riflettuto tanto alla notizia che il povero ometto stava riportando, ma dopo, in un baleno, mi sono rimbombate in mente queste parole:
“A cinquant’anni dalle proteste in Tibet che hanno costretto il Dalai Lama all’esilio.”
La disinformazione anti-tibetana e filo-cinese è un qualcosa di funzionale nell’informazione stessa, visto che la Cina rappresenta un fattore importante per svariati giochi. Le notizie dei media sulla faccenda Tibet sono attualmente sotto la gogna delle omissioni, e della distruzione sistematica della storia a favore di una rivisitazione in chiave moderna. Questa politica zerbinante s’estende in tutte gli affari sporchi dei cinesi: dall’ambiente sfregiato, ai diritti dei lavoratori-schiavi; dalle scuole per creare bambini-automi, alle migrazioni forzate d’intere popolazioni a seconda di come il governo decide; dalla corruzione interna, alla distruzione delle abitazione dei meno fortunati per far posto a grattacieli; dalla pena di morte, alla censura di YouTube, Google, e il web in genere. Anche durante le Olimpiadi, momento che avrebbe potuto fare da cassa di risonanza, i giornalisti sono rimasti impostati nella condizione di dover leggere bollettini politici, equivalenti a svariati comunicati che ricevono quotidianamente, per far la cronaca di quei pazzi che protestano, protestano, e nella loro vita non fan altro che protestare: perché? Non è dato sapere.
Parlare del Tibet, per l’informazione mediatica standard (tranne che per qualche elemento illuminante), significa parlare di un manipolo di rivoltosi che, per quanto “buoni” possano essere, sempre di pericolosi elementi si tratta. Accennare alle vicende storiche di quella nazione sembra esser impossibile: c’è da studiare troppo?, c’è il rischio di far rivoltare Mao nella mummia?, ci saranno rischi per le provviste d’involtini primavera? Chissà quale sarà il motivo. Ed è snervante che quando devono trattare quell’argomento, non emergono in alcun modo, da quelle quattro righe che una volta ogni cinque o sei mesi dedicano al problema, le vicissitudini reali di quelle popolazioni, i cambiamenti che hanno subito, le offese, le vessazioni, gli arresti, e le condanne a morte. Difficilmente sentiremo parlare di una zona strategica di confine, di miniere, di un posto ideale per lo stoccaggio di rifiuti radioattivi e di test nucleari, dei suoi ghiacciai che riforniscono d’acqua gli stessi invasori: dei tibetani avremo sempre l’immagine dei ribelli disadattati, che per quanto buoni possano essere, saranno sempre dei disertori della pace. Comunque poco importa se nella vita quotidiana sono dei "sottoposti" che non hanno accesso alle strutture amministrative, se sono costretti a rinnegare la propria cultura per adattarsi a quella standardizzata cinese. E se l’arrivo dei maoisti doveva liberare il Tibet dallo schiavismo e l’oppressione feudale, in realtà la storia s’è conclusa in una migrazione di milioni di cinesi (compreso esercito) che hanno letteralmente invaso quella terra, rendendola ancora più povera di come non lo fosse un tempo, sicuramente come qualità della vita spirituale e sociale, e probabilmente anche come stili di vita. Ma che possiamo farci: i monaci tibetani sono dei rivoltosi, e come tali sono pericolosi terroristi, che qualsiasi cosa dicano e facciano sarà sempre sbagliata, e i media fanno bene a considerarli tali, altrimenti c’è il rischio che dicano la verità.


PS
Accennare al Turkestan è anche inutile, perché quelle popolazioni, oltre che essere terroristi e rivoltosi, sono anche musulmani: quindi mettiamoci bene in testa che non esiste un Turkestan, è solo un invenzione degli anti-cinesi.

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