giovedì 18 marzo 2010

Fare-Futuro non Disfare-Passato

Anche se in ritardo di tre-quattro giorni dalla messa in onda della trasmissione, sembra doveroso notare un emblematico modo di porsi davanti alla storia del direttore di “Fare Futuro”, il movimento relativo a Gianfranco Fini.
Gad Lerner, nel suo programma L’Infedele (del 15 marzo 2010), ha messo in onda un servizio in cui si paragonavano le riforme del Duce, su magistratura e stampa, alle riforme di Berlusconi. E' trascorsa un'ottantina d'anni da quel passato, ma gli obiettivi del Duce, in un certo senso, pare collimino con quelli del sultano: ridurre i poteri della magistratura (elidere lo stato di diritto), controllare la stampa (brain wash e ignoranza). Poi Gad Lerner ha trasmesso delle interviste in cui, in uno stralcio delle stesse, Ferrero (politico della sinistra) ha citato Goebbels riguardo le “bugie” del premier e compagni.
Il direttore di Fare Futuro (Alessandro Campi) per ben due volte, subito dopo la messa in onda dei servizi e alla fine della trasmissione, ha espresso un concetto chiaro: non era appropriato storicamente fare paragoni con quel passato. Una presa di posizione che andrebbe quanto meno smussata.
Le proporzioni sono alla base del pensiero logico: non a caso, dopo le quattro operazioni, esse costituiscono le fondamenta della matematica. Così avviene anche per altri tipi di studi. Pensiamo alla biologia. Quando gli etologi analizzano le tigri dai denti a sciabola non possono fare a meno di considerare gli attuali grossi felini, e quando si concentrano sul gatto non possono fare a meno di guardare i parenti più stretti del nostro amico a quattro zampe: leoni, tigri ecc.., o i mammuth: possiamo capirli senza lo studio degli elefanti? In ogni ramo del sapere i paragoni sono d’obbligo, non si capisce perché nella storia (anche recente e attuale) questo non debba avvenire. E non si tratta nemmeno di stendere un rotolo sugli ultimi duemila e rotti anni: è logico che dalla Persia di Ciro all’Iran di Ahmadinejad c’è un abisso. Ma dall’ Italia di meno di un secolo fa all’Italia d’oggi il passo è molto più breve. Si può comprendere una certa propensione al futuro (si spera non quello descritto in 1984 da George Orwell), ma eliminare ogni relazione da tempi così recenti (ancora ci sono generazioni che hanno vissuto quei momenti) può sembrare parossistico o paradossale.
La destra populista del “tea party”, di Bush e delle guerre, la destra della sanità e della scuola privata, delle armi, della caccia, delle lobby, la destra del meteo, dello sport, della microcriminalità, del Tg1 e Tg5, degli psicokiller, dei reality, la destra del petrolio e del nucleare, della distruzione dell’ambiente, del moralismo stile “devono essere tutti uguali, chi non è come noi deve essere modificato o eliminato”: questi non sono modelli da seguire.
Una chiara presa di posizione sulla libertà e il progresso umano, sul passato e sul futuro, non dovrebbe essere solo un motto: dovrebbe esser un principio comune a tutte le correnti politiche.

mercoledì 3 marzo 2010

Neapolis e Repubblica sul decreto Romani

“Il governo innesta la retromarcia sul tema Internet. […] Se il governo è conciliante sul fronte del Web (come dice il senatore Vita del PD), tiene invece il punto in ambito televisivo”

Così scrive Repubblica di ieri (2 marzo 2010) sul decreto Romani. Oggi Neapolis (supplemento quotidiano del TG3-TGR sulle novità del web e della tecnologia) usava gli stessi toni gaudi, se non le stesse parole, del giornale di De Benedetti. Perché questa presa di posizione, così accomodante, verso un decreto che stravolge delle direttive europee tentando, tra l’altro, di creare un web squallido alla stregua della TV? Cercare di porre paletti, autorizzazioni, controlli, controllori, leggi che a seconda di come si leggono cambiano significato, sembra esser evidentemente un filo conduttore trasversale. Esser morbidi nella visione del mondo è una cosa giusta, ma una mente saggia sa dove rimanere nella chiarezza. Quell’informazione vicina al PD, così come pure quell’esponente del Senato (Vita), o le loro ombre, si sentono rassicurati dei cambiamenti che il governo ha posto nel cosiddetto decreto Romani (l’ennesimo decreto legge: il Parlamento è fallito?). Forse in tanti s’immaginano un web così come sono adesso i media “ufficiali”: controllati, quasi ai confini della censura, notizie che non vanno date altre che vanno pompate, strumenti nelle mani di pochi.
Un web libero da paletti è la speranza di molti. Le leggi già esistono e sono abbondanti: diffamazione e violenza sono punibili, fare introiti significa aver una partita Iva, il copyright è gia utilizzato come forma, spesso parassitaria, di censura, intromettersi abusivamente nei sistemi (lamer) è vietato. Ci si chiede allora come possano quelle allucinanti “migliorie” esser così “concilianti” agli occhi di alcuni.

martedì 2 marzo 2010

Decreto Romani su Internet

In tanti piangono per la libertà della magistratura, e hanno ragione: è sacrosanto. Ma altrettanto sacrosanto dovrebbe esser il ribadire un concetto: in Italia ci sono migliaia di leggi (molte liberticide) al contrario di quel che avviene in altri paesi. Questo in gran parte dipende dai politici e da chi governa: in tutti i suoi settori. Leggi confuse, un minestrone di parole, sottoparole, doppi sensi e commi resi tali solo per una volontà inconscia di accomodare più ridde possibili.
Ed ecco un’ennesima legge. Ecco una nuova legge nata forse per far chiudere il web, per renderlo un luogo sterile e morto alla stregua della TV: dove quelle poche pozze d’acqua vengono costantemente inquinate o ricoperte di terra: c’è sempre qualcuno che spinge per l’arido. Una nuova legge nata da chi vorrebbe trasformare la Rete, i siti, in una grossa TV.
Di seguito un passo ambiguo, all’interno della normativa (da Punto-Informatico.it), che cerca di definire in maniera “chiara” cosa si intende per "servizio media audiovisivo" (ovvero siti da trasformare in stile TV con censure, autorizzazioni, controlli del regime in atto, magagne):

- il cui obiettivo principale [dei siti paragonabili alle TV] è la fornitura di programmi al fine di informare, intrattenere o istruire il grande pubblico -
Obiettivo “principale”? Chi e come si definiscono allora quelli secondari o “terziari”?


Sotto invece le parole che il legislatore usa per determinare i siti che non rientrerebbero nelle spire della piovra:

- i servizi prestati nell'esercizio di attività precipuamente non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva -
Chi e come si determina quando finisce o inizia un’attività “precipuamente” economica? E poi: qual è la “concorrenza con la radiodiffusione televisiva”?

- i servizi la cui finalità principale non è la fornitura di programmi -
Chi e come si definisce “la finalità principale”? E soprattutto: come e quando si può definire un “programma”? Si dovrebbe pensare forse a concetti altrettanto plasmabili e astratti come “informare, intrattenere o istruire il grande pubblico”?

- i servizi nei quali il contenuto audiovisivo è meramente incidentale e non ne costituisce la finalità principale -
“Meramente incidentale”? Ma è una presa per i fondelli? Immediatamente vien da pensare anche un’altra cosa: i videoblogger, i grafici, i video musicali, i corti e i film, anche se autoprodotti e diffusi ondine, sono da considerarsi alla stregua delle TV?

Su tutto ciò si può aggiungere una chiosa: le anime all’interno dell’Europa, visto che il tutto è nato dalla volontà, per certi versi stravolta, di regolamentazione europea, sono più o meno come quelle italiane, non per niente l’Italia fa parte dell’Europa, ma qui nello stivale c’è spesso quel tocco maccheronico in più che rende tutti più felici. Una speranza per il “Nobel della Pace” a Internet? Dipende tutto dalla libertà.


PS
Il top of the top rimane comunque la citazione in George Orwell Style che i membri del Partito Interno hanno scritto:

-i siti internet che contengono […]un prodotto o a un servizio non audiovisivo […]
f) i giochi d'azzardo con posta in denaro

Che dire: ROFL!