martedì 7 luglio 2009

Sentenza al processo Aldrovandi

Se non ci fosse stata la rete probabilmente l’omicidio Aldrovandi non sarebbe mai stato reso noto ai più. Sarebbe rimasto nascosto nelle memorie della famiglia. Sono accadimenti che nei paesi in via di sviluppo, del terzo e quarto mondo, sono all’ordine del giorno, ma in una terra che vuole slanciarsi verso la tecnologia, verso il progresso, verso la cultura, non sono concepibili. La famiglia del giovane fa bene ad essere soddisfatta, per quanto la morte di un figlio, in quella maniera per giunta, è difficile da sopportare; una condanna, in questo caso, è un indicatore di colpevolezza, ma basta proiettarsi con la “fantasia” per immaginarsi altri scenari. Come ad esempio: quale sarebbe stata la condanna se quattro giovani avessero pestato a morte un membro delle forze dell’ordine? Se quattro extracomunitari avessero ucciso a bastonate un poliziotto? Sarebbero stati condannati a “tre anni e mezzo” di carcere? E chi pagherà la dignità lesa di tanti appartenenti alla pubblica sicurezza che hanno nella loro mente un’idea di giustizia, di concordia, di progresso e di cultura? Chissà! Sono interrogativi ai quali non si avrà risposta nei prossimi anni.
Intanto nelle democrazie i contestatori stanno provocando la democrazia stessa. In Cina, in Iran, bande di violenti black block e terroristi, chi perché dice che abbiano rubato alle elezioni, chi per altre inutili scuse, hanno manifestato scontrandosi con i tutori dei governi e dei loro amici, dimostrando una cosa sola: che sono contestatori violenti, giustamente soppressi, e spesso ammazzati a colpi di armi da fuoco. Il perché protestano anche a costo della propria vita? Perché non hanno nulla da fare, sono drogati, hanno solo voglia di far caciara, spaccare qualche auto e vetrina, sono i soliti: dal Sud America all’Asia, dall’Africa all’Europa, chi scende in marcia, chi protesta e contesta, lo fa solo perché non ha nulla da fare, ha solo voglia di sfasciare qualche vetrina.

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