mercoledì 3 marzo 2010

Neapolis e Repubblica sul decreto Romani

“Il governo innesta la retromarcia sul tema Internet. […] Se il governo è conciliante sul fronte del Web (come dice il senatore Vita del PD), tiene invece il punto in ambito televisivo”

Così scrive Repubblica di ieri (2 marzo 2010) sul decreto Romani. Oggi Neapolis (supplemento quotidiano del TG3-TGR sulle novità del web e della tecnologia) usava gli stessi toni gaudi, se non le stesse parole, del giornale di De Benedetti. Perché questa presa di posizione, così accomodante, verso un decreto che stravolge delle direttive europee tentando, tra l’altro, di creare un web squallido alla stregua della TV? Cercare di porre paletti, autorizzazioni, controlli, controllori, leggi che a seconda di come si leggono cambiano significato, sembra esser evidentemente un filo conduttore trasversale. Esser morbidi nella visione del mondo è una cosa giusta, ma una mente saggia sa dove rimanere nella chiarezza. Quell’informazione vicina al PD, così come pure quell’esponente del Senato (Vita), o le loro ombre, si sentono rassicurati dei cambiamenti che il governo ha posto nel cosiddetto decreto Romani (l’ennesimo decreto legge: il Parlamento è fallito?). Forse in tanti s’immaginano un web così come sono adesso i media “ufficiali”: controllati, quasi ai confini della censura, notizie che non vanno date altre che vanno pompate, strumenti nelle mani di pochi.
Un web libero da paletti è la speranza di molti. Le leggi già esistono e sono abbondanti: diffamazione e violenza sono punibili, fare introiti significa aver una partita Iva, il copyright è gia utilizzato come forma, spesso parassitaria, di censura, intromettersi abusivamente nei sistemi (lamer) è vietato. Ci si chiede allora come possano quelle allucinanti “migliorie” esser così “concilianti” agli occhi di alcuni.

Nessun commento:

Posta un commento